La Cassazione conferma il sequestro preventivo adottato nei confronti della società committente, per gravi indizi di responsabilità ex art. 25-quinquiesdecies D.lgs. 231/2001 in relazione alla contestazione all’apicale del reato di cui all’art. 2 del D.lgs. n. 74 del 2000.

Approda per la prima volta in Cassazione l’applicazione del D.lgs 231/2001 in relazione ai reati tributari, introdotti nel catalogo 231 ad opera del D.L. 26 ottobre 2019, convertito con modifiche in L. 19 dicembre 2019, n. 157

In particolare, nel caso deciso dalla terza sezione penale con la sentenza n. 16302 del 28 aprile 2022, all’ Ente era stata applicata la misura cautelare del sequestro preventivo in ragione della ritenuta sussistenza di gravi indizi di responsabilità per l’illecito p. e p. dagli art. 5 lett. a), 6 lett. a), 25 quinquiesdecies del d.lgs. 231/2001 in relazione alla contestazione, al Presidente del C.D.A, del reato di cui all’art. 2 del D.lgs. 74/2000.

In particolare, in ipotesi d’accusa, il rapporto (formalmente di appalto) tra la Committente principale (destinataria della misura cautelare) ed il Consorzio appaltatore si sarebbe in concreto articolato come somministrazione di lavoro da parte delle cooperative subappaltatrici.

Di qui la ritenuta fittizietà delle fatture emesse dal Consorzio e portate in detrazione dalla Committente nelle dichiarazioni annuali IVA.

La difesa dell’Ente, nell’impugnare il decreto del Tribunale del Riesame, aveva  sostenuto che la condotta ipotizzata dall’accusa non fosse penalmente rilevante, assumendo l’irrilevanza della supposta falsità delle fatture ai fini dell’evasione d’imposta (e ciò per non essere l’IVA “elemento attivo o passivo” suscettibile di incidere sulla determinazione del reddito e/o delle basi imponibili rilevanti e comunque perchè il trattamento fiscale dell’operazione asseritamente simulata, la somministrazione di manodopera, sarebbe stato uguale a quello applicato per l’appalto).

Invero, nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte ha precisato che in caso di accertameno del carattere fraudolento dell’intermediazione di manodopera, l’IVA che il Committente assume di aver pagato al preteso appaltatore per l’operazione soggettivamente inesistente – non è detraibile in quanto il diritto alla detrazione dell’IVA non può prescindere dalla regolarità delle scritture contabili ed in particolare della fattura che è considerata documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa.

Così si legge in sentenza, “il committente attraverso un appalto non genuino aveva azionato il diritto alla detrazione dell’Iva dopo aver articolato un meccanismo in forza del quale attraverso il pagamento di fatture per “finti” appalti di opera e servizi ha scaricato l’Iva da un Consorzio che a sua volta ha scaricato il tributo dalle Cooperative consorziate che l’avrebbero dovuta versare all’erario ed invece dopo qualche anno hanno cessato l’attività”.

Di qui la ritenuta sussistenza di tutti I presupposti fattuali e giuridici della ipotizzata responsabilità dell’Ente ai sensi dell’art. 25-quinquiesdecies del D.lgs.231/2001.

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