Nel silenzio della legge, soccorre la giurisprudenza. Risvolti in materia penale e della compliance di cui al D.Lgs. n. 231/2001

Quando, nel 2006, il Legislatore ha deciso di mettere ordine nella materia ambientale, emanando il Decreto Legislativo n. 152, del tutto sorprendentemente, non ha preso in considerazione il tema della delega di funzioni, ovvero la possibilità per il soggetto su cui gravano ex lege gli obblighi ambientali di trasferirli ad altro a ciò specificamente incaricato. E’ per tale ragione che, per molto tempo, le sanzioni ambientali (di natura amministrativa e penale) sono state rivolte al diretto responsabile. Tuttavia, se detta situazione soggettiva poteva ben configurarsi nelle realtà aziendali medio-piccole, la distanza con quanto accadeva in realtà più rilevanti (in quanto – ad esempio – dotate di diverse filiali o stabilimenti o, ancora, interessate da dipendenti lontani dalla sede e posti al di fuori di ogni diretto controllo e gestione da parte del titolare dell’impresa stessa), ha fatto riflettere sulla concreta possibilità che si determinasse un’automatica ed illegittima responsabilità oggettiva per il titolare dell’impresa stessa.

La scelta di mantenere questo rischioso buco normativo è stata oltremodo criticata, sol che si consideri che la giurisprudenza di legittimità, sin dalla fine degli anni ottanta, aveva riconosciuto la delega, in un primo momento valutandone l’efficacia e validità solo per l’inquinamento idrico, estendendola poi alla materia dei rifiuti e, infine, a tutti gli illeciti ambientali, sebbene immediatamente subordinandola “ad alcune specifiche condizioni, tra le quali formulazione specifica e puntuale del contenuto della delega e divieto di indebita ingerenza da parte del delegante. In assenza di questi requisiti la delega si ritiene implicitamente revocata” (Sez. III, sent. 8 aprile 1999, n. 4003). Principio che è stato definitivamente consacrato, oltre che ulteriormente specificato, sempre dalla Sezione Terza (Sent. n. 422/2000), ritenendo che, per poter agire quale scriminante della penale responsabilità, è necessaria la sussistenza delle seguenti condizioni: “a) la natura formale ed espressa, ossia una delega scritta; b) la natura non occasionale, ma strutturale, nel senso della conformità alle norme statutarie previa adozione secondo le previa adozione secondo le procedure e da parte degli organi competenti; c) la specificità, nel senso di un puntuale contenuto; d) la pubblicità; e) l’effettivo trasferimento di poteri decisionali in capo al delegato, con l’attribuzione di una completa autonomia di gestione e con piena e completa disponibilità economica; f) le dimensioni dell’impresa, tali da giustificare la necessità di decentrare compiti e responsabilità; g) la capacità ed idoneità tecnica del soggetto delegato; h) l’insussistenza di una richiesta  di intervento da parte del delegato; i) la mancata conoscenza della negligenza o sopravvenuta inidoneità del delegato;1) che l’inquinamento non derivi da cause strutturali dovute ad omissioni di scelte generali; m) la natura eccezionale della delega e la necessità di una prova rigorosa della osservanza di tutte le condizioni sopra indicate”.

Se, da una parte, in tempi più recenti, il requisito delle rilevanti dimensioni dell’impresa è andato progressivamente ad affievolirsi, prediligendo piuttosto la necessità che il soggetto scelto dal titolare come soggetto nel quale riporre fiduciariamente l’incarico sia specializzato e competente, sapendosi districare nella complessa normativa di settore, dall’altra non si può non rilevare come la stessa giurisprudenza abbia puntato l’attenzione sul fatto che “anche in presenza di una delega provvista di tutti i richiesti requisiti oggettivi e soggettivi, permane comunque la possibilità di una responsabilità del delegante qualora quest’ultimo abbia omesso di esercitare il dovere generale di controllo, secondo diligenza e prudenza, sull’attività o inattività del delegato, cd. culpa in vigilando o in eligendo” (Cass. Pen., 27 aprile 2011, sent. n. 16422).

E’ dunque fondamentale, nell’ambito dell’organizzazione aziendale, valutare la sussistenza dei rischi in materia di sicurezza ambientale, le attività potenzialmente a rischio e le sanzioni conseguentemente applicabili, ma, soprattutto, determinare una valida ripartizione dei poteri e dei ruoli all’interno della governance e delle funzioni o direzioni interessate, accompagnata dalla formalizzazione dei processi con la definizione di procedure/protocolli ed istruzioni operative, sì da agire in ottica preventiva. L’entrata in vigore del D.Lgs. n. 231/2001 e le riflessioni maturate nel tempo in merito all’adozione del Modello Organizzativo e di Gestione ed ai suoi contenuti, hanno comportato che le imprese si siano rivolte verso un sistema di normative organizzative e di regole di controllo interno che disciplinano lo svolgimento delle operazioni aziendali, in grado di presidiare specificamente i rischi di commissione dei reati previsti dallo stesso Decreto, tra cui, a far data dall’agosto del 2011, rientrano quelli ambientali ex art. 25 – undecies.

La validità ed efficacia della delega come modalità di corretta organizzazione e ripartizione dei compiti e delle responsabilità aziendali in ambito ambientale, non a caso e qualche anno dopo, è stata presa in considerazione dalla giurisprudenza rispetto al giudizio di idoneità preventiva del MOG, arrivando ad affermare che “il modello di organizzazione e gestione può essere considerato inefficace in virtù della sola assenza di idonee deleghe di funzioni”, ritenendo come la delega costituisca quindi un elemento idoneo ad esimere la società dalla colpa di organizzazione. Anche in caso di formale adozione di un modello organizzativo, ma concretamente privo di procedure da adottare nel rispetto dell’ambiente, sia relativamente alle prassi operativo-decisionali che per la designazione di un organo di controllo e vigilanza sulla corretta esecuzione dei piani, all’ente andrà contestata ed addebitata anche la responsabilità “amministrativa” di cui al D.Lgs. n. 231/2001.

La circostanza che, anche la giurisprudenza stia rivolgendo la sua attenzione non solo e non tanto sui requisiti formali della delega in materia ambientale, quanto piuttosto sugli elementi soggettivi che devono connotare la persona del delegato e l’organizzazione dell’impresa, lo dimostra il contenuto della più recente pronuncia in proposito (Sez. III, sent. n. 32861, 6 settembre 2021), in ragione della quale “per attribuirsi rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, è necessaria la compresenza di precisi requisiti: a) la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale; b) il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; c) il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa; d) la delega deve riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa; e) l’esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo”.

In un momento in cui la longevità e sicurezza del pianeta è messa fortemente a repentaglio, non si possono non condividere i principi di cui alla Responsabilità Sociale d’Impresa, sollecitando ogni Ente a tendersi costantemente al raggiungimento del miglior risultato economico, soddisfacendo, però, anche i bisogni e le aspettative di tutte le altre parti interessate, tra i quali emerge lo sviluppo consapevole del territorio, consumando in modo parsimonioso le risorse necessarie, in totale assenza di impatti negativi sull’ambiente circostante.

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