La III sezione della Cassazione con la sentenza n. 35387/2022 è tornata sul tema della partecipazione dell’Ente al procedimento penale – subordinata all’atto formale di costituzione ai sensi dell’art. 39 D.lgs. 231/2001 – escludendo l’ammissibilità, per difetto di legittimazione, della richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo presentata dal difensore dell’ente nominato dal rappresentante indagato del “reato presupposto”.

La questione era stata affrontata a gennaio 2021 anche dalla IV sezione con la sentenza n. 12992/2021: in particolare nell’arresto giurisprudenziale del 2021 il Supremo Collegio, rinviando alle SS.UU Gabrielloni del 2015, aveva sostenuto che il regime di incompatibilità previsto dalla normativa 231 non fosse assoluto ed inderogabile, dovendosi piuttosto valutare le situazioni nelle quali la rapidità e la sorpresa della iniziativa investigativa del Pubblico Ministero impediscano all’ente di “realizzare una utile opzione per la costituzione nel procedimento”.

Le richiamate SS.UU hanno infatti valorizzato quale discrimine – ai fini del giudizio di legittimazione ad agire per l’Ente difeso da un avvocato nominato dal legale rappresentante indagato – il fatto che l’Ente sia stato o meno destinatario dell’avviso di garanzia ai sensi dell’art. 57 del D.lgs. 231/2001, atto che avrebbe appunto l’effetto di allertarlo rispetto agli oneri partecipativi al procedimento, consentendogli di organizzarsi.

Con la conseguenza che in assenza di detto avviso, secondo le medesime SS.UU, sarebbe possibile la designazione del difensore nominato dal rappresentante legale indagato.

Ciò nonostante nel caso deciso dalla più recente pronuncia, depositata lo scorso 22 settembre 2022, la Cassazione ha ritenuto di disattendere l’interpretazione offerta dal decisum delle SS.UU., valorizzando quale elemento ostativo il fatto che gli organi sociali non si fossero, nemmeno in seguito all’esecuzione del decreto di sequestro impugnato, attivati per provvedere alla costituzione ed alla nomina di un difensore fiduciario ai sensi dell’art. 39 del D.lgs. 231/2001.

Il Collegio si è poi spinto oltre affermando che un modello organizzativo adeguato deve prevedere il rischio che il legale rappresentante sia indagato per il reato presupposto dell’illecito amministrativo ascritto a carico dell’Ente, in modo tale che quest’ultimo possa difendersi con la nomina di un difensore da parte di un soggetto specificamente delegato a tale incombente.

In buona sostanza, la Cassazione suggerisce un’implementazione ai Modelli organizzativi, per l’eventualità in cui si ponga una situazione di conflitto di interessi connessa alla contestuale iscrizione nel registro degli indagati del legale rappresentante per il reato presupposto e dell’Ente per l’illecito amministrativo.

Invero, pare poco in linea con il valore costituzionale del diritto di difesa ammettere che lo stesso possa soffrire una limitazione connessa all’eventualità o meno che l’ente si sia dotato di un Modello organizzativo (invero non previsto dalla normativa 231 come obbligatorio per esplicare il diritto di difesa dell’Ente) e che nell’ambito di esso abbia previsto un protocollo dedicato alla soluzione del caso di incompatibilità di cui s’è detto.

La questione, soprattutto per gli Enti di piccole dimensioni, è di primaria rilevanza e la disciplina 231 non presenta allo stato alcun meccanismo di garanzia per l’Ente tratto in giudizio in conflitto di interessi con il proprio rappresentante legale.

L’auspicio è pertanto che l’arresto giurisprudenziale commentato rimanga isolato e che continui, come minimo, a trovare applicazione il criterio suggerito dalle SS.UU, senz’altro più tutelante.
Indubbio tuttavia che sia da valutare seriamente, per tutte le imprese dotate di modello o che siano in procinto di adottarlo, di prevedere nella sua parte speciale una procedura che preveda il conferimento ad un soggetto di una procura speciale per la designazione del difensore dell’Ente nel caso in cui il legale rappresentante dello stesso si trovi in una situazione di incompatibilità.