La quarta sezione della Cassazione penale, con la recente sentenza n. 33976/2022 torna sul concetto di vantaggio in relazione all’illecito amministrativo di cui all’art. 25 septies comma 3 del medesimo decreto.
Il tema è controverso, attesa la peculiarità delle fattispecie di reato presupposto di natura colposa, per le quali pare in astratto più complesso individuare quei “precisi canali che colleghino teleologicamente la condotta della persona fisica al vantaggio dell’Ente” (ex plurimis, anche: Sez. 4, n. 12149/2021, Rodenghi e Sez. 4, n. 29584/2020, F.lli Cambria s.p.a.).
La Cassazione, nelle occasioni in cui la questione le è stata sottoposta, ha ricondotto il vantaggio al risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dei procedimenti e dei presidi di sicurezza; all’incremento economico conseguente all’aumento della produttività non ostacolata dal rispetto della normativa prevenzionale (Sez. 4 n. 31210 del 2016, Merlino; n. 43656 del 2019, Compagnia Progetti e Costruzioni); al risparmio sui costi di consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e informazione del personale (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 18073 del 2015, Bartoloni), o, ancora, alla velocizzazione degli interventi di manutenzione e di risparmio sul materiale.
Nel caso deciso dalla sentenza in commento, all’Ente veniva contestato l’illecito amministrativo con riferimento alle lesioni gravi subite da un dipendente stagionale, che nell’esecuzione delle proprie mansioni era scivolato, a causa del pavimento bagnato, inserendo la mano sinistra all’interno della vasca di raccolta dell’uva, priva della necessaria griglia di protezione; il vantaggio veniva quindi individuato nel risparmio di spesa (pari ad euro 1.860,00), dovuto all’omessa installazione della griglia metallica avente la funzione di evitare il contatto con la “coclea”.
La difesa, nel ricorrere per Cassazione, aveva sostenuto l’insussistenza del vantaggio, a fronte di una trasgressione del tutto isolata e di un risparmio di spesa (soli euro 1.860,00 Euro), inconsistente rispetto ai costi annui sostenuti dall’Ente per il settore antinfortunistico (pari a circa 100.000,00-130.000,00 Euro).
La Suprema Corte, nel confermare la sentenza d’appello, ha chiarito che l’art. 25 septies del D.lgs. 231/01 non richiede – per la configurabilità della responsabilità dell’ente – la natura sistematica delle violazioni della normativa antinfortunistica, precisando altresì che, pur potendosi in astratto escludere la colpa di organizzazione nel caso in cui la violazione si collochi in un contesto di generale osservanza da parte dell’ impresa delle disposizioni in materia di sicurezza (v. la già citata sentenza Sez.4, 22256/2021, Canzonetti), è pur sempre necessario verificare in concreto se tale isolata violazione insista su un’area di rischio di rilievo, com’era accaduto nel caso in questione.
Quanto al vantaggio, la Cassazione ha condiviso la motivazione della sentenza impugnata, rilevando come la Corte d’appello non lo avesse desunto, sic et simpliciter, dall’omessa adozione della misura di prevenzione dovuta ma lo avesse compiutamente argomentato sulla base della ritenuta oggettiva prevalenza delle esigenze della produzione e del profitto su quella della tutela dei lavoratori.