Un Modello Organizzativo, di Gestione e Controllo ai sensi del Decreto Legislativo 231/2001 se correttamente elaborato, adottato ed aggiornato, può definirsi strumento utile per esimere un Ente dalla responsabilità amministrativa dipendente da reato. Tuttavia, nel tempo e con le prime applicazioni giurisprudenziali, abbiamo compreso che questo non è sufficiente. Al fine di prevenire concretamente il rischio di commissione dei reati-presupposto è necessario che l’Ente, una volta esaminate le attività ed i processi aziendali cosiddetti sensibili e, pertanto, individuate le aree esposte a responsabilità ex D.Lgs. 231, si doti anche di un’organizzazione capillare. La struttura dovrà allora essere costituita da soggetti che rivestono ruoli di rappresentanza, direzione, gestione e amministrazione (i cosiddetti apicali) dell’Ente stesso o di una sua Unità Organizzativa (a sua volta, dotata di autonomia finanziaria e funzionale), compresi coloro che esercitano anche di fatto i predetti compiti e poteri ed altri soggetti che sono sottoposti alla direzione e vigilanza dei primi (in posizione quindi subordinata).

La segregazione dei ruoli e dei poteri è strumento necessario al coinvolgimento dei soggetti diversamente interessati nella gestione dell’impresa, affinché, da una parte, nessuno possa disporre di poteri illimitati e svincolati dalla verifica altrui, dall’altra, consente di avere una visuale migliore sul concreto svolgimento dell’attività stessa, potendo contare su diversi tipi di controllo e di competenze. Affinché poi l’attribuzione dei poteri, con i relativi obblighi e responsabilità, sia efficace e possa esimere il delegante da responsabilità, in via del tutto generale, bisogna rammentare come il conferimento degli stessi deve essere accettato dai delegati e deve essere formalizzato con apposita delibera dell’organo amministrativo di vertice (collegiale o monocratico che sia) o con il conferimento di procura speciale.

Nella materia della sicurezza nei luoghi lavoro, affrontata dalla pronuncia in commento, la compartimentazione dei ruoli e delle responsabilità è stata considerata uno dei pilastri fondamentali, che ha permesso il perseguimento stesso degli obiettivi legislativi. Si è passati, infatti, da un Datore di Lavoro valutato alla stregua del “debitore della sicurezza nei posti di lavoro” all’interno del D.P.R. n. 547/1955, ad un soggetto ritenuto il primo responsabile del miglioramento della sicurezza dei luoghi di lavoro ed obbligato a stilare un documento di valutazione dei rischi aziendali con il D.Lgs. n. 626/1994, obbligo che, con il D.Lgs. n. 81/2008 è divenuto non delegabile.

Il passaggio fondamentale ai fini della presente analisi, avviene proprio nel 1994, quando è stata introdotta la figura del R.S.P.P., quale soggetto designato dal Datore di Lavoro ed in possesso delle capacità e dei requisiti professionali per espletare il servizio stesso, attività che si concretizza nella: (a) individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro; (b) elaborazione delle misure preventive e protettive ed alle procedure di sicurezza; (b) predisposizione dei programmi di informazione e formazione dei lavoratori.

Nel tempo, la giurisprudenza ha quindi ritenuto che la figura del R.S.P.P. riveste una funzione integrativa del sistema di sicurezza aziendale, oltre che di ausilio tecnico per il Datore di Lavoro, che può/deve basarsi sulla competenza e capacità professionale del soggetto designato, fattori che, non a caso, devono essere verificati all’atto della nomina e della sua accettazione. E’ per tale ragione che oggi si può senza dubbio parlare del R.S.P.P. come colui che risponde personalmente dei delitti di lesioni ed omicidio colposi occorsi sul luogo di lavoro (oltre alle contravvenzioni previste dal D.Lgs. n. 81/2008) in ragione di una colpa “specifica” od anche colpa “tecnica” di ambito prevenzionistico a questi attribuibile, stante il rilievo essenziale che l’attività di valutazione dei rischi assume nell’intero sistema antinfortunistico, da ben distinguere rispetto alla nozione di “colpa generale”, spesso attribuibile al solo Datore di Lavoro e legata alla rappresentanza legale collegata alla relativa posizione (Cass. Pen. Sez. IV, 22 luglio 2021 n. 28468).

E’ bene evidenziare che la posizione del R.S.P.P. deve essere tenuta ben distinta rispetto al trasferimento di competenze organizzative e gestionali che il Datore di Lavoro può attribuire ad un soggetto terzo. La delega di funzioni (riconosciuta indirettamente già con il D.Lgs. n. 626/1994, nel quale erano state specificate le funzioni non delegabili e, di conseguenza, stabilite come delegabili quelle non citate, oltre che dalla giurisprudenza di merito e di legittimità), con il cd. Testo Unico sulla sicurezza, è stata esplicitamente formalizzata, stabilendone il Legislatore con l’art. 16 i limiti e le condizioni.

Si evidenzia inoltre che la delega di funzioni in materia di sicurezza inerisce il rapporto interno che intercorre tra il Datore di Lavoro ed il delegato prescelto, non a caso la lett. e), del comma 1, dell’art. 16, prevede, tra le varie condizioni di validità, che sia espressamente accettata per iscritto. Ne consegue che la delega deve essere tenuta, a sua volta, distinta dalla procura speciale, nel senso che la seconda può includere la prima, ma la forma notarile della procura non è necessaria ai fini della validità della delega, che dovrà comunque essere pubblicizzata con particolare riferimento ai lavori sottoposti ed a quanti devono entrare in contatto con il delegato.

La procura, tendenzialmente speciale e redatta dal notaio, è quello strumento utilizzato per conferire poteri di amministrazione propri del CdA (o dell’Amministratore Unico della società) ad un soggetto che dovrà essere dotato delle capacità professionali e del livello gerarchico correlati all’esercizio dei poteri decisionali richiesti, dotando conferendogli altresì i poteri organizzativi autonomi, sufficienti e totalmente disgiunti sull’unità produttiva/azienda, in particolare (ma non solo) con riferimento agli obblighi di cui agli artt. 17 e 18 del D.Lgs. n. 81/2008 e con facoltà di delega per i compiti di cui all’art. 18.

Permangono le attività che non possono essere delegate dal Datore di lavoro e che, non a caso, attengono alla valutazione dei rischi (con conseguente elaborazione del D.V.R.) ed alla designazione del R.S.P.P.- A prescindere da questo fondamentale dato, il Datore di lavoro delegante non potrà comunque disinteressarsi dell’attività svolta dal delegato. Al comma 3, del predetto art. 16, viene sottolineato come la delega di funzioni “non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. L’obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4″. Grava quindi sul Datore di lavoro la responsabilità sia per culpa in eligendo (qualora abbia scelto il delegante secondo criteri non corretti, quindi una figura senza i requisiti necessari), sia per culpa in vigilando, in caso di mancata verifica dell’operato del delegato. Ai sensi dell’art. 16, comma 2, tale obbligo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del Modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008, a sua volta, previsto dal D.Lgs. n. 231/2001 in materia di responsabilità amministrativa da reato.

E’ possibile che i due ruoli, R.S.P.P. e delegato, coincidano nella stessa persona, ma la circostanza non è automatica (nel senso che la designazione a R.P.P. non costituisce una delega di funzioni) e non deve generare confusione, anzi – nella maggior parte delle realtà aziendali, specie quelle medio/grandi – accade ed è bene che i predetti ruoli siano tenuti ben distinti, anche e proprio nell’ottica del miglior funzionamento del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo di cui al D.Lgs. n. 231/2001, laddove adottato. Questa è anche la linea di demarcazione data dalla giurisprudenza di legittimità che, già nel 2014 e 2015 (Sez. IV, pronunce, rispettivamente, n. 36234 e n. 11819, poi confermata dalla Sez. III nel 2018, con la sentenza 24 agosto 2018, n. 38905) aveva specificato che: “la delega non può ritenersi attribuita dal datore di lavoro all’addetto al Servizio di Prevenzione e Protezione, considerato che tale carica attribuisce un mero ruolo di consulenza, tanto che gli obblighi di vigilanza e controllo non vengono meno con la nomina del RSPP”.

Partendo da questo fondamentale presupposto, la IV Sezione della Suprema Corte, nell’ambito di un procedimento penale in cui alle persone fisiche era stato contestato il delitto di lesioni colpose gravissime ed all’Ente la fattispecie di cui all’art. 25-septies, comma 3, del D.Lgs. n. 231/2001, con la pronuncia 34943 del settembre 2022, ha avuto modo di soffermarsi nuovamente sull’istituto delle delega in materia di sicurezza del lavoro, rilevando come questo atto non determina nel delegato una relazione di immedesimazione organica, sì da attribuirgli automaticamente le funzioni gestorie richieste dall’articolo 5 lettera a), del D.Lgs. n. 231/2001 (che detta la definizione delle “persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso”, i cosiddetti apicali), quale ineluttabile conseguenza della procura.

E’ stato quindi affermato che non è possibile operare “una sorta di equiparazione tra “il potere di compiere scelte decisionali in piena autonomia in materia di sicurezza” ed il riconoscimento di una veste apicale, secondo la previsione dell’art. 5 lett. a) d. lgs. 231/01” ed anzi “il cumulare i ruoli di responsabile del servizio di prevenzione e protezione e di delegato alla sicurezza non fa per ciò solo assumere il ruolo di chi gestisce o dirige l’ente o una ripartizione rilevante di essa […] ai fini della individuazione delle persone dotate di funzioni di rappresentanza, di gestione e di direzione dell’ente e di una unità organizzativa provvista di autonomia finanziaria, non può prescindersi dai criteri indicativi fissati dagli istituti dell’ordinamento giuridico generale e non quelli di un particolare settore come quello lavoristico, ivi compresi gli strumenti deputati alla costituzione ovvero al trasferimento di funzioni da soggetti verticistici, quali la procura”.

La giurisprudenza di legittimità, in un solo momento, indica la via secondo la quale, da una parte, al ruolo consulenziale e di ausilio che la normativa in materia di sicurezza individua per il R.S.P.P. (specie se accompagnato da un rapporto di subordinazione come nel caso esaminato dalla pronuncia in commento), “non può essere ricondotta ad alcuna delle figure comprese nelle categorie delle persona dotate di veste apicale” e, dall’altra, anche l’attribuzione della delega prevista dalla materia prevenzionistica (a prescindere dalla circostanza che venga attribuita al soggetto che assurge all’incarico anche di R.S.P.P., come nella vicenda oggetto d’odierna analisi) non può essere direttamente collegata all’acquisizione di una posizione apicale del soggetto delegato, “Ciò in quanto il delegato rimane sottoposto al più ampio potere del delegante, che viene esercitato sotto forma di vigilanza; il delegato è inoltre tenuto a rapportarsi e a riferire al delegante […] ai fini dell’adozione di quelle misure di prevenzione o di protezione che sfuggano al suo potere di gestione o di spesa”.

Al di là allora dei “titoli” attribuiti alle figure presenti nell’Organigramma aziendale (specie quelle tassativamente previste dalla normativa antinfortunistica) bisogna verificare quali siano i poteri che siano stati loro attribuiti, che vengono effettivamente esercitati e, in particolare, con quale autonomia organizzativa, decisionale e di spesa il ruolo assegnato venga svolto nella vita ed organizzazione aziendale. Se infatti possono essere generalmente considerate figure apicali i rappresentanti ex lege della società e gli amministratori, delegati e non, anche se dipendenti della società, oltre ai direttori generali, per i procuratori speciali ed i soggetti delegati, ad esempio, per lo svolgimento delle funzioni in materia di sicurezza sul lavoro od ambientale, bisognerà verificare il contenuto dei poteri e delle deleghe loro conferiti.

Rimane dunque di fondamentale rilevanza che l’impresa abbia ben chiari questi riferimenti normativi e questi distinguo in termini di competenze ed individuazione dei soggetti competenti, ai fini della corretta attribuzione di ruoli e conferimento dei relativi poteri, a cui dovrà seguire la relativa vigilanza. Ciò non solo e non tanto nell’ottica di un’esenzione totale o parziale di responsabilità personali, in particolare, in favore del soggetto delegante, ma soprattutto in chiave di idonea pianificazione aziendale, che non può prescindere dalla valutazione del processo di gestione del rischio, mediante attività sistematiche di analisi, tra cui emerge l’individuazione delle Funzioni, dei ruoli e dei poteri e la loro netta distinzione, al fine di dimostrare la totale assenza di qualsivoglia deficit di organizzazione e, pertanto, l’estraneità dell’impresa dalla responsabilità di cui al D.Lgs n. 231/2001.