La questione affrontata nel ricorso, sul quale si è pronunciata la Sesta Sezione Penale con sentenza n. 32828, depositata lo scorso 6 settembre 2022, concerne l’esatta individuazione del momento consumativo del reato di Malversazione ai danni dello Stato, uno dei reati presupposto della responsabilità amministrativa ex D. Lgs 231/2001, ai sensi dell’art. 24 del Decreto. Sulla base di tale contestazione, il Tribunale di Reggio Calabria aveva infatti confermato il provvedimento del GIP che, in accoglimento della richiesta formulata dal Procuratore Europeo, aveva sequestrato alla società ricorrente una somma di denaro ai fini della confisca “quale profitto diretto del reato di cui all’art. 316-bis cod. pen. e dell’illecito amministrativo di cui all’art. 24, commi 1 e 3, d.lgs. n. 231 del 2001, ovvero alla confisca per equivalente dei beni rientranti nelle rispettive disponibilità.

Secondo l’imputazione provvisoria, il legale rappresentante della società beneficiaria di un finanziamento di euro 157.240,00 (di cui euro 117.855 di origine comunitaria ed euro 39.285 di origina nazionale) erogato dalla Regione Calabria di euro 157.240,00, distraeva il bene finanziato (un’imbarcazione destinata ad attività di charter) dalla finalità pubblica prevista dal Bando. Tale condotta ascrivibile all’organo apicale della società veniva ritenuta, sempre secondo l’imputazione provvisoria, commessa nell’interesse e ad esclusivo vantaggio di detta società, che lucrava risparmi di spesa derivanti dalla mancata corresponsione del corrispettivo dovuto per l’acquisto dell’imbarcazione, distolto dalla finalità pubblicistica, fondando così la contestazione all’ente dell’illecito amministrativo previsto dagli artt. 5 e 24, commi 1 e 3, d.lgs. n. 231 del 2001.

Nel ricorso presentato avverso l’ordinanza cautelare, in particolare, la società colpita dal provvedimento ablativo deduceva l’insussistenza dell’illecito amministrativo contestato (nonchè delitto presupposto della responsabilità 231) in considerazione dei seguenti elementi: a) al momento dell’indagine, l’ente erogatore aveva prorogato il termine per la realizzazione delle opere e rinviato il pagamento dei SAL; b) il contestato diverso impiego dei denari non era, in realtà, al di fuori dei vincoli stabiliti dal bando; c) era stata omessa la verifica di diversi elementi valutabili in favore della ricorrente nel corso delle indagini.

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte affronta la questione dell’individuazione del “momento consumativo del reato presupposto di malversazione a danno dello Stato che, come chiarito dalle Sezioni Unite, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, può essere commesso sia attraverso una mera omissione sia attraverso una destinazione dei fondi pubblici ottenuti a fini privati o, comunque, diversi da quelli da quelli perseguiti dall’ente erogante.” Prima di affrontare il merito del ricorso, la Cassazione rileva peraltro come diverse precedenti pronunce di legittimità, affermando tale principio, fossero pervenute a conclusioni non pienamente simmetriche in relazione a diverse fattispecie concrete in cui l’atto di concessione dell’erogazione prevedeva un termine per la realizzazione delle opere o delle attività di pubblico interesse.

Nel risolvere tale dibattito, i Giudici di legittimità richiamano una loro recente pronuncia “in cui si è chiarito che, pur essendo rilevante il termine fissato con l’atto di erogazione del finanziamento, l’individuazione del tempo della “omessa destinazione” del finanziamento può tuttavia dipendere da una pluralità di fattori, relativi alle condizioni contrattuali e alla tipologia delle sovvenzioni/finanziamenti, che rendono imprescindibile il confronto dell’interprete con le specifiche situazioni concrete (Sez. 6, n. 19851 del 06/05/2022, Cestari)”.

In altri termini, resta valida la regola secondo cui, qualora il contratto o la normativa prevedano un termine per la realizzazione delle opere o per lo svolgimento di specifiche attività di pubblico interesse, il delitto di malversazione a danno dello Stato non possa considerarsi perfezionato prima della scadenza di detto termine ma, tale principio generale va, secondo le caratteristiche della fattispecie concreta, integrato dall’analisi delle specifiche condizioni previste dall’atto di erogazione del finanziamento o della sovvenzione.

Con riferimento alla fattispecie portata all’attenzione della Suprema Corte, si era in presenza di un finanziamento alla società non erogato in unica soluzione ma in tre diverse rate, sulla base di uno stato di avanzamento dei lavori. L’ordinanza del Tribunale calabrese aveva confermato il provvedimento di sequestro ritenendo perfezionato il reato di malversazione ex art. 316 bis c.p.  facendo esclusivo riferimento, 1) al vincolo di destinazione contenuto nel bando e 2) all’impegno contenuto nell’atto di adesione sottoscritto dal legale rappresentante della società.

Il Tribunale però, secondo la Suprema Corte, ha completamente omesso di verificare la presenza di dati temporali concreti idonei a individuare il momento consumativo del reato e la sua conseguente effettiva rilevanza penale.

La disciplina contenuta nel medesimo Bando prevedeva, infatti, una specifica disciplina dei termini entro i quali i beneficiari del finanziamento avrebbero dovuto avviare e completare gli investimenti e in particolare: il dies a quo di detti termini viene individuato nella notifica del decreto di concessione del finanziamento; il termine finale per la realizzazione degli investimenti è fissato in 24 o 18 mesi, a seconda che si applichi il Regolamento (UE) n. 651/2014 ovvero il Regolamento (UE) n. 1407/2013, (comma 6).

Pur non essendo stata individuata dal Tribunale la data del decreto di concessione del finanziamento e della sua notifica all’ente beneficiario, ossia il dies a quo dal quale far decorrere i termini, questa viene individuata dalla Suprema Corte sulla base di un procedimento deduttivo.

Sulla base di tale (ritenuta) data di notifica del decreto di concessione del finanziamento, i Giudici di Legittimità hanno rilevato come, alla data dell’accertamento del reato, non fossero ancora decorsi i termini di 18 / 24 mesi previsti nel bando per la realizzazione del progetto finanziato e, pertanto, il reato non poteva ritenersi perfezionato.

L’ordinanza è stata pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo giudizio.