“...in futuro, enti anche di rilevanti dimensioni, potrebbero essere tanto più incentivati a porre rimedio alle lacune organizzative (per il passato riparando e per il futuro adottando moduli organizzativi non di carattere cosmetico) quanto più possano avere una fondata aspettativa che questi sforzi saranno “premiati” sul piano sanzionatorio evitando un’inutile duplicazione della portata afflittiva della pena loro applicata.”
E’ questo un passaggio di estremo interesse tratto dal decreto di archiviazione in esame, datato 9 novembre 2022, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, che richiama una problematica ben conosciuta a chi si occupa della normativa 231, sottesa alla insufficiente diffusione ed applicazione della stessa. L’assenza di incentivi adeguati, di benefici processuali premiali, anche e soprattutto nel momento in cui dovesse verificarsi un illecito, nei confronti di quei soggetti giuridici che hanno preventivamente già investito tempo e risorse per l’implementazione di un modello. L’attenuante ex art. 12 co. 2 lett. b), ossia la riduzione della sanzione da un terzo alla metà per chi adotta un modello organizzativo idoneo successivamente alla commissione di un illecito, ma prima dell’apertura del dibattimento (evitando così anche l’applicazione di misure interdittive, ex art. 17), spinge taluno a relegare l’applicazione della normativa 231 a un’ipotesi futura ed eventuale, subordinata alla contestazione di un illecito.
Ma torniamo all’esame del provvedimento de quo, in fatto, nei confronti della società Alfa (nome ovviamente di fantasia) indagata ai sensi del decreto 231/2001: per i medesimi fatti storici di frode fiscale, era stato già aperto e definito un procedimento tributario, conclusosi con un ravvedimento operoso (somma comprensiva di due sanzioni applicabili ai fatti oggetto del procedimento, previste una al 90% dell’imposta evasa e l’altra al 135%, entrambe ridotte come previsto dall’istituto del ravvedimento operoso).
Rispetto all’illecito amministrativo ex art. 25 quinquiesdecies pendente nei confronti della società, i difensori presentavano in Procura una memoria in cui si chiedeva, tra le altre cose, l’archiviazione del procedimento anche sulla base di quel principio di matrice sovranazionale (introdotto con la sentenza CEDU Grande Stevens – 2014) secondo cui “non è possibile iniziare o proseguire un secondo procedimento nei confronti di un soggetto in relazione ad un medesimo fatto, per cui si sia già concluso in via definitiva un primo procedimento amministrativo, laddove la sanzione irrogata possa definirsi “sostanzialmente penale”.
La Procura della Repubblica di Milano ha ritenuto necessario valutare ed approfondire la problematica, ossia se la prosecuzione del procedimento ex D.lgs. 231/2001 pendente nei confronti della società Alfa potesse, a seguito della definizione del complementare procedimento tributario pur mediante la procedura del ravvedimento operoso, considerarsi o meno pregiudizievole di diritti fondamentali riconosciuti a livello europeo (art. 4 prot. 7 CEDU e art. 50 CDFUE) rappresentando una sanzione eccessiva e sproporzionata per l’ente.
Tra i passaggi più significativi del provvedimento merita di essere evidenziato il richiamo fatto alla mancanza, nell’apparato sanzionatorio dei reati tributari introdotti nell’ambito del decreto 231, di un meccanismo compensatorio capace di tener conto delle sanzioni già irrogate (in ambito tributario) per il medesimo fatto storico. Tale carenza costituisce un effettivo rischio definito “eccesso punitivo” in considerazione della possibile sanzione irroganda, alla luce delle somme a titolo di sanzioni già versate dalla società e considerate “proporzionate, dissuasive ed effettive”.
Proseguendo nella lettura della parte motiva, prima di concludere con la già anticipata richiesta di archiviazione (della quale si consiglia la lettura integrale – link a fine articolo), la Procura di Milano pone l’accento anche sul comportamento complessivo tenuto dalla società Alfa successivamente al fatto. Questa infatti, aveva attuato diverse effettive condotte riparatorie sia attraverso l’implementazione del proprio modello organizzativo, sia attraverso sostanziosi investimenti in interventi organizzativi interni idonei a scongiurare, o quantomeno mitigare, il rischio di una ripetizione degli illeciti contestati. Alla luce di tali osservazioni, l’ulteriore irrogazione della sanzione ex 231/2001 viene definita come “un fatto che sembra porsi in contrasto con la consolidata giurisprudenza in materia di ne bis in idem, come sopra ricostruita“.
Non si può nascondere ed evidenziare un personale soddisfacimento per l’illuminata lettura ermeneutica della normativa oggetto di esame, da parte dell’organo inquirente. Tirando le fila delle argomentazioni evidenziate nel presente contributo e volendo concluderlo allo stesso modo di come si è iniziato, ovverosia riportando integralmente uno stralcio del decreto in commento, si propone un passaggio che rappresenta l’estrema sintesi del presente contributo, laddove afferma: “se è vero che tanto le sanzioni tributarie, quanto quelle previste dal Decreto 231, perseguono una finalità dissuasiva e preventiva che va al di là della mera funzione ripristinatoria e retributiva, non si può negare che un più che soddisfacente risultato in questi termini sia stato già raggiunto, sicché, anche alla luce delle considerazioni sopra esposte, la prosecuzione del procedimento ex D.lgs. 231/2001 costituirebbe un’indebita duplicazione, che sfocerebbe nella sottoposizione, ormai non più giustificata, della società agli ulteriori effetti stigmatizzanti e afflittivi che il coinvolgimento in un procedimento penale comporta.“