Sta facendo molto discutere l’annunciata novità introdotta nello schema del Decreto Legislativo in riforma del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016 e s.m.i.), predisposto dalla Commissione Speciale del Consiglio di Stato per l’attuazione della delega (Legge n. 78/2022) ed approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 dicembre 2022, al vaglio delle Commissioni Parlamentari (da ratificare entro il 31 marzo 2023, in quanto inserito nelle riforme del PNRR). La previsione riguarda la contestazione relativa ad un illecito 231 che potrà essere sufficiente a far scattare l’esclusione dalla gara. La bozza del testo della norma a disposizione prevede, infatti, che la “la contestata o accertata commissione” dei “reati previsti” dal D.Lgs. n. 231/2001, ovvero gli illeciti amministrativi dipendenti dai reati-presupposto circa la responsabilità degli Enti, potrebbero determinare la più grave ed immediata esclusione da un appalto (art. 98, comma 4, lettera h, n. 5).
Nonostante le numerose critiche levate, il Presidente dell’A.N.A.C., Giuseppe Busia, ascoltato il 1° febbraio u.s. dalla Commissione Ambiente e lavori pubblici del Senato, ha confermato l’ipotizzata norma, anche se la stessa si presenta in netto contrasto con le recenti disposizioni della riforma Cartabia, che escludono conseguenze amministrative per i soggetti semplicemente indagati e non ancora condannati. Busia ha sottolineato come la differenza vada individuata nell’interesse generale che il Codice degli Appalti mira a tutelare, dato che l’Operatore economico che “viola le regole contratta con la PA non danneggia solo quell’amministrazione ma anche le imprese che si sono impegnate nel rispetto di tutte le regole e dunque alla fine questo danneggia la concorrenza”.
L’esclusione prevista non opererà in via automatica (ex art. 95, comma 1); la valutazione sarà rimessa alla Stazione Appaltante e scatterà se gli illeciti sono gravi e tali da rendere dubbia l’integrità od affidabilità dell’offerente. Previsione da leggere in combinato disposto rispetto a quanto previsto dall’art. 98, comma 7, che indica, tra i mezzi di prova adeguati per dimostrare l’illecito “oltre alla sentenza di condanna definitiva, al decreto penale di condanna irrevocabile, alla sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta” (già previsti dall’attuale art. 80 del D.Lgs. n. 50/2016), non solo eventuali provvedimenti cautelari reali o personali emessi dal giudice penale ed il decreto che dispone il giudizio all’esito di udienza preliminare, ma anche atti di esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, come ad esempio il decreto di citazione diretta a giudizio o la richiesta di emissione di decreto penale di condanna.
La conseguenza è aberrante innanzitutto sotto il profilo costituzionale, in quanto un provvedimento non definitivo che promana unilateralmente dalla Procura rischia di mettere gravemente a repentaglio l’economica di un’impresa, considerati soprattutto i tempi della giustizia italiana. In secondo luogo, la previsione appare contraria ai principi stessi del D.Lgs. n. 231/2001, che vede nello stretto collegamento causale tra la commissione del reato-presupposto da parte di un soggetto apicale od alle sue dipendenze ed il conseguimento di un vantaggio e/o interesse per l’Ente, il fulcro della colpa organizzativa, per non aver saputo prevenire l’illecito da cui discende la responsabilità cosiddetta amministrativa.
Ma possiamo veramente affermare che trattasi di una novità assoluta nel parametro normativo e giurisprudenziale? In effetti, mai in maniera così diretta e ficcante la normativa di settore aveva previsto un tale affondo, le cui conseguenze devono considerarsi foriere di preoccupazioni per il mondo delle imprese.
Facciamo allora il punto sulle tesi che si sono succedute in proposito. L’art. 38 del Codice del 2006 si limitava a contemplare l’ipotesi di esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessione e degli appalti di lavori, forniture e servizi (ed il corrispondente divieto di affidamento anche in subappalto e di stipula dei relativi contratti) per gli operatori economici nei cui confronti fosse stata applicata la sanzione interdittiva del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione prevista dall’art. 9, comma 2, lett. c), del D.Lgs. n. 231/2001; l’articolo 80, comma 5, lett. f), del Codice appalti del 2016, replicava tale previsione, mentre il possesso di un Modello di organizzazione, gestione e controllo conforme al D.Lgs. n. 231/2001 viene considerato presupposto per ottenere la riduzione del 30% dell’importo della garanzia fideiussoria o cauzione (cosiddetta garanzia provvisoria, pari al 2% del prezzo base) necessaria per partecipare alla procedura (art. 93, comma 7 vigente).
In realtà, l’A.N.A.C. con le Linee Guida n. 6 di attuazione del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 recanti “Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice”, approvate dal Consiglio con Delibera n. 1293 del 16 novembre 2016 (aggiornate al D.Lgs. n. 56 del 19 aprile 2017 con Deliberazione del Consiglio n. 1008 dell’11 ottobre 2017) aveva già di molto esteso l’ambito di operatività della norma, stabilendo quali cause di esclusione ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) gli illeciti professionali “gravi accertati con provvedimento esecutivo, tali da rendere dubbia l’integrità del concorrente, intesa come moralità professionale, o la sua affidabilità, intesa come reale capacità tecnico professionale, nello svolgimento dell’attività oggetto di affidamento. Al ricorrere dei presupposti di cui al periodo precedente, gli illeciti professionali gravi rilevano ai fini dell’esclusione dalle gare a prescindere dalla natura civile, penale o amministrativa dell’illecito. 2.2 In particolare, rilevano le condanne non definitive per i reati di seguito indicati a titolo esemplificativo, salvo che le stesse configurino altra causa ostativa che comporti l’automatica esclusione dalle procedure di affidamento ai sensi dell’art. 80 del codice: e. reati previsti dal d.lgs. 231/2001”. Era quindi già ben chiaro il riferimento ad ogni provvedimento cautelare (previsto dal Codice di Procedura Penale e/o dallo stesso D.Lgs. n. 231/2001, con particolare riferimento alle misure cautelari personali, reali od interdittive).
A questo principio hanno fatto seguito altre pronunce tese, da una parte, ad ampliare l’ambito di operatività della norma di cui all’art. 80 e, dall’altra, ad anticipare il momento nel quale le pendenze di un Operatore Economico e dei suoi soggetti ritenuti rilevanti ai fini dichiarativi ne condizionino l’esistenza ed i rapporti commerciali.
Si segnalano in proposito le Delibere nn. 1050 e 1051 dell’Adunanza Plenaria dell’ANAC in data 2 dicembre 2020, in occasione dei quali l’Autorità ha affermato che, a prescindere dalla natura e tipologia dell’illecito commesso, l’omessa dichiarazione di un rinvio a giudizio non comporta l’esclusione automatica dell’operatore economico, rilevando che: “ la sussistenza di carichi pendenti può considerarsi un‘informazione dovuta, quand’anche il corrispondente obbligo dichiarativo non sia previsto dalla lex specialis, nel caso in cui riguardi fattispecie di reato che, per gravità, fondatezza e pertinenza, sono in grado di incidere sulla valutazione di moralità o affidabilità dell’operatore economico. Come evidenziato dal Consiglio di Stato, «la previsione di cui all’art. 80, comma 1, nella parte in cui elenca le fattispecie di reato idonee a determinare in via cogente, in caso di condanna, l’esclusione della impresa dalla gara non esaurisce di certo l’ambito di rilevanza dei profili di moralità suscettivi di apprezzamento ai fini in argomento. Tanto in ragione dell’ampiezza operativa della fattispecie residuale di cui all’art. 80 comma 5 lettera c) in cui giustappunto ricadono tutti i fatti, a maggior ragione quelli di rilievo penale cui si riconnette un elevato disvalore giuridico, suscettivi di apprezzamento per i riflessi che possono generare sull’affidabilità dell’operatore economico. Da qui, da un lato, la potenziale rilevanza degli addebiti riferiti al procedimento penale in argomento che avrebbero dovuto essere sottoposti al vaglio della stazione appaltante e, dall’altro, in via consequenziale, l’elusione dell’obbligo della dichiarazione ex art. 80 comma 5, lett. c) del codice» (Consiglio di Stato, 26 ottobre 2020, n. 6530); Considerato che una simile valutazione deve essere svolta, di volta in volta, dalla stazione appaltante che, nell’esercizio della propria discrezionalità, deve valutare la gravità dei fatti e il loro inquadramento come grave illecito professionale (cfr. Parere di precontenzioso n. 586 dell’8 luglio 2020); Il Consiglio ritiene, sulla base delle motivazioni che precedono, che: – l’omessa dichiarazione di un rinvio a giudizio non comporta l’esclusione automatica dell’operatore economico, perché non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis), d.lgs. n. 50/2016 ma è riconducibile all’art. 80, comma 5, lett. c-bis), d.lgs. n. 50/2016″.
Del pari quanto di recente affermato dalla giurisprudenza amministrativa di merito in materia di omesse dichiarazioni su procedimenti penali pendenti da parte dell’Operatore concorrente, rilevando che la Stazione Appaltante è tenuta ad effettuare una specifica valutazione sulla rilevanza dei fatti e dei comportamenti, per verificare l’affidabilità del concorrente e della possibile influenza sulle decisioni di cui all’art. 80, 5° comma lett. c) e c-bis) del Codice attuale (Tar Toscana, Sez. I, 19 ottobre 2022, sent. n. 1172). Con la pronuncia in questione è stato valutato come “non occorre un giudicato sulla vicenda addebitata al concorrente per poterne trarre ragioni d’inaffidabilità o non integrità giustificanti la sua esclusione; dall’altro – al contempo – che l’amministrazione è investita d’un autonomo e distinto apprezzamento in funzione dell’adozione dei provvedimenti d’ammissione ed esclusione dalla gara (cfr., oggi, l’art. 80, comma 10-bis, ultimo periodo, d.lgs. n. 50 del 2016).[…] è necessario che l’amministrazione individui con precisione quali siano le condotte esecutive rilevanti che hanno integrato gli estremi del grave errore professionale e determinato la interruzione del rapporto fiduciario” (Cons. Stato, VI, 2 gennaio 2017, n. 1).[…] ai fini della valutazione dell’affidabilità e integrità dell’impresa il giudizio dell’amministrazione non può che investire il fatto in sé, in tutti i suoi profili sostanziali, e non la sola valutazione e il trattamento datogli in sede penale; d’altro canto, l’apprezzamento del medesimo fatto in sede penale e da parte dell’amministrazione ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 è ben distinto, proprio perché diverse sono le finalità istituzionali della valutazione e gli inerenti parametri normativi. […] i fatti posti a base del procedimento penale (che costituiscono il vero oggetto della valutazione nella logica “fattuale” propria di Cons. Stato, sez. V, 6 gennaio 2021, n. 307) non risultino per nulla estranei alla sfera di controllo e responsabilità della società e, dall’altro, come la -OMISSIS- s.r.l. risulti potenziale destinataria di una sanzione ex art. 25 del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 che rientra sicuramente nell’ambito dei provvedimenti sanzionatori a carico della società valutabili alla luce delle già citate Linee guida n. 6, “di attuazione del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50”.
Se il testo sarà confermato, gli Enti non potranno non rivolgersi all’adozione di un Modello di Organizzazione Gestione e Controllo ai sensi del D.Lgs. n. 231, quale insieme di “provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti” (art. 96, comma 6 della bozza in esame). In presenza del MOGC la Stazione Appaltante – nell’ambito della discrezionalità riconosciutale anche dalla giurisprudenza amministrativa recente (da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. V, 30 maggio 2022, sent. n. 4363) – potrebbe considerarlo sistema idoneo ad evitare l’esclusione, fatta eccezione per i casi più gravi non discrezionali (articoli 94, comma 5, e 95, comma 2).