Un disegno di Legge pronto, che attende di essere approvato
Nel biennio 2018-2020, nei comparti economici afferenti alla produzione, il confezionamento, la distribuzione, la somministrazione e la vendita di sostanze alimentari, sono state elevate 8.515 contestazioni di natura penale e 43.216 di natura amministrativa.
Tali informazioni emergono in maniera chiara dalla lettura della relazione del Comando dei Carabinieri per la Tutela della Salute, depositata il 10 settembre 2020 alla commissione giustizia della Camera dei Deputati in occasione dei lavori parlamentari finalizzati all’approvazione del Disegno di legge AC 2427, “Nuove norme in materia di reati agro-alimentari”.
Il documento dei “NAS”, inoltre, ha il pregio di entrare più in profondità circa la rilevante entità degli illeciti che si registrano in questo settore.
In particolare, viene rappresentato come, nel medesimo periodo temporale, sono state eseguite 58 misure cautelari personali, denunciate 4.332 persone alla giurisdizione penale e altre 26.800 deferite all’Autorità amministrativa. Le strutture sequestrate o chiuse, invece, sono state 3.954, mentre la quantità di prodotto alimentare sequestrato è stato pari a 156 mila tonnellate, oltre ai 17 milioni di confezioni di prodotti alimentari, per un valore complessivo pari a 1.080.387.000.
Se da una parte queste informazioni hanno il pregio di rappresentare un’efficiente e reticolare attività di controllo e repressione da parte dello Stato, dall’altro versante gli stessi dimostrano come sia sempre più urgente una maggiore politica di responsabilizzazione e prevenzione da parte degli operatori del settore agroalimentare.
Come noto, tale esigenza è apparsa del tutto evidente all’indomani di Expo Milano 2015, quando il Parlamento istituiva la “Commissione per l’elaborazione di proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare”. Si tratta della cd. “Commissione Caselli” in ragione del fatto che la Presidenza del consesso veniva affidata al noto ed esperto magistrato, ed ex Procuratore della Repubblica di Palermo, Dott. Gian Carlo Caselli.
Il settore agroalimentare, infatti, è notoriamente meritevole di attenzione da parte delle Autorità di controllo e vigilanza dello Stato e dell’UE in quanto, oltre al valore prettamente economico dello stesso, è quello che caratterizza più di tutti la nostra identità di “Bel Paese”, insieme al settore della moda, del design e della tutela e conservazione dei beni culturali
E allora, se questi obiettivi sono così chiari e dichiarati e il testo legislativo è tecnicamente pronto ormai da quasi due anni, è legittimo chiedersi, perché la seduta della sua discussione, votazione e approvazione finale in Aula non è ancora calendarizzata? Tra l’altro, non si intravedono nemmeno più segnali che vadano in tal senso?
Vale la pena accennarne brevemente ai passi compiuti per valorizzarli.
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Il lavoro già compiuto.
La Commissione Caselli elaborò, difatti, un vero e proprio schema di disegno di legge utile a fornire al Legislatore un importante e complessivo quadro di intervento riformatorio che, tuttavia, ancora oggi non ha visto ancora la luce. Da più parti nel mondo giuridico ci si chiede perché la proposta sia ferma nei cassetti di qualche ministero o ufficio parlamentare.
La proposta in commento risulta, infatti, duplicata in due distinti e separati Disegni. Il primo, il D.D.L. 283 del Senato della Repubblica, depositato in data 18 aprile 2018, e riproduce fedelmente lo schema prodotto dalla Commissione, ma risulta essere fermo.
Il secondo è il DDL n. 2427, presentato alla Camera dei Deputati il 6 marzo 2020, che è stato discusso ed esaminato in Commissione Giustizia e dai vari organismi in sede referente ma, poi, nessun ulteriore passaggio è stato fatto risultando così giacente dall’11 novembre 2020.
Il progetto normativo ha il pregio, in primis, di ridisegnare un nuovo sistema di repressione che passa, tra le altre, per la modifica dei reati di “avvelenamento di acque e sostanze alimentari (art. 439 c.p.) e quello di “adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari” (art. 440 c.p.) e per l’introduzione nel Codice penale dei nuovi delitti quali quello di “importazione, esportazione, commercio, trasporto, vendita o distruzione di alimenti, medicinali o acque pericolose”, contenente la previsione di una pena che arriva alla reclusione fino ad anni 8 (art. 440 – bis c.p.), nonché del delitto di “omesso ritiro di alimenti, medicinali o acque pericolosi (art. 440 – ter c.p., reclusione da 6 mesi a 3 anni) e di “informazioni commerciali ingannevoli o pericolose per la salute pubblica” (art. 440 – ter c.p., reclusione da 1 a 4 anni).
Ancora, degne di nota sono anche l’introduzione della fattispecie di “disastro sanitario” (445 – bis) e quello di “agropirateria” (art. 517 – quater.1 c.p.).
Il primo prevede la reclusione fino a 18 anni quando per i fatti di cui agli articoli precedenti derivano, per colpa, la lesione grave o gravissima o la morte di 3 o più persone.
Il secondo, tanto atteso, si parlava in gergo di “agromafia” prevede il perseguimento di tutte quelle condotte di frode in commercio di prodotti alimentari commessi in modo organizzato e sistematico attraverso l’allestimento di mezzi ed attività con sanzioni che possono arrivare a seconda dei casi alla reclusione fino a 7 anni.
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La responsabilità penale della persona giuridica, un’occasione di miglioramento dell’impresa agroalimentare.
Se i reati appena descritti sono tradizionalmente idonei ad azionare la responsabilità penale della persona fisica che ha commesso concretamente quelle condotte, o di chi avrebbe dovuto vigilare per impedirle, il legislatore è voluto andare oltre fino a ritenere anche possibile l’attribuzione della pesante responsabilità “amministrativa” all’ente ai sensi del D. lgs. n. 231/2001 (Cd. “Legge 231”).
Come noto la Legge 231, ormai al ventesimo anno dalla sua “copernicana” introduzione, prevede che la Giustizia penale al verificarsi dei reati in essa richiamati, nell’ambito di un’entità organizzata come l’impresa, possa perseguire, processare e punire anche l’ente (la società, l’associazione, la fondazione, etc.) a cui quell’attività si riferisce. L’eventuale sentenza di condanna dello stesso ha come fine quello di mutilare, interdire o paralizzare la persona giuridica medesima (p.e. interdizione dell’esercizio dell’attività, sanzioni pecuniarie parametrate alla dimensione e al volume d’affari…) decretando di fatto la fine della società o l’onta reputazionale.
Si tratta, in sintesi, di una forma di colpa di organizzazione che, a norma della Legge 231 stessa, può essere evitata o mitigata se l’ente adotta (proattivamente) un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo ed efficace a prevenire i reati richiamati, unitamente ad un sistema di vigilanza che attivi costanti flussi informativi con tutte le funzioni organizzative e aziendali potenzialmente a rischio di commettere i reati cd. presupposti (attraverso l’istituzione di un Organismo di vigilanza, cd. OdV, composto da professionisti con competenze multidisciplinari).
Per quanto attiene alla riforma in esame, ciò che emerge è che, per la prima volta, viene previsto un modello specifico ulteriore a rispetto a quello ordinario. Quasi a voler dichiarare che per il settore agroalimentare sia necessario un’attenzione dell’organizzazione più elevata in grado di prevenire gli illeciti, in modo più intenso rispetto a quello ordinario previsto per tutti i reati della 231.
E’ per alcuni versi paragonabile al modello di prevenzione dei reati derivanti dalla violazione delle norme sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, ma i quel caso il Legislatore optò per l’inserimento del riferimento normativo direttamente sul TU di cui al D. Lgs. 81/2008 (art. 30).
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Nell’Organismo di Vigilanza è meglio la presenza di un esperto professionista del settore agroalimentare.
Proprio con riferimento all’OdV la riforma non va, invece, a ritoccare l’istituto. Tuttavia, a parere di chi scrive, essendo la materia fortemente connotata dalla necessità di interessare specifiche competenze, è opportuno che siano incaricati professionisti in un’ottica multidisciplinare.
In questo caso, dunque, sarebbe auspicabile che l’Organismo sia composto, a cura dell’organo apicale della società, oltre che, p.e., da esperti di organizzazione aziendale e/o diritto penale d’impresa, anche da un Operatore del Settore Alimentare (cd. OSA) come definito dalla regolamentazione europea dedicata (Regolamento UE 178/2002) perché dotato della capacità di “garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte”,
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La compliance integrata necessaria: una prima volta nel corpus il D. Lgs. 231/2001.
La necessità di un modello di organizzazione, gestione e controllo “speciale”, dunque, se venisse confermata la previsione del disegno di legge, costituirebbe il primo concreto esempio, previsto direttamente dal Legislatore, di attuazione della “compliance integrata” tanto decantata da giuristi, esperti aziendali e tecnici della prevenzione, per sottolineare la necessità di un’organizzazione conforme alle diverse normative che la riguardano e che richiedono sforzi di adeguamento di tutti gli assetti e a tutti i livelli aziendali.
Tale scelta, dimostrerebbe allora l’intenzione ormai matura e opportuna di coordinare gli sforzi dovuti per garantire la sicurezza alimentare finora pretesi esclusivamente dal sistema di fonti nazionali e sovrannazionali e da una propagazione di norme “soft law”.
La normativa comunitaria, infatti, appare essere la fonte principale dello statuto della sicurezza alimentare[1].
Ed è proprio da questa disciplina, in particolare dal Regolamento UE 852/2004 (art. 5), che l’industria agroalimentare può ricavare le istruzioni utili all’elaborazione di in sistema organizzativo e di vigilanza interno che possa preventivamente (anche in funzione penale): “a) identificare ogni pericolo che deve essere prevenuto, eliminato o ridotto a livelli accettabili; b) identificare i punti critici di controllo nella fase o nelle fasi in cui il controllo stesso si rivela essenziale per prevenire o eliminare un rischio o per ridurlo a livelli accettabili; c) stabilire, nei punti critici di controllo, i limiti critici che differenziano l’accettabilità e l’inaccettabilità ai fini della prevenzione, eliminazione o riduzione dei rischi identificati; d) stabilire ed applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di controllo; e) stabilire le azioni correttive da intraprendere nel caso in cui dalla sorveglianza risulti che un determinato punto critico non è sotto controllo; f) stabilire le procedure, da applicare regolarmente, per verificare l’effettivo funzionamento delle misure di cui alle lettere da a) ad e); e g) predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa alimentare al fine di dimostrare l’effettiva applicazione delle misure di cui alle lettere da a) ad f).”
Non rimane che comprendere se il Legislatore e la politica mantengano le proprie dichiarazioni, promesse e soprattutto dia senso al proprio percorso.
[1] 1.Regolamento (CE) del Parlamento e del Consiglio n. 178/2002 (sulla tracciabilità dei prodotti)
- Regolamento (CE) del Parlamento e del Consiglio n. 852/2004 (il sistema HACCP, da Hazard Analalysis and Critical Control Points)
- Regolamento (CE) del Parlamento e del Consiglio n 853/2004 (igiene alimenti di origine animale)