Con sentenza n. 18413/2022, la Sez. 4 della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dal difensore della C. Srl, condannata nei giudizi di merito per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies, comma 3, D. Lgs. 231/2001 per avere, come ente alle cui dipendenze lavorava la persona offesa I.R., consentito il verificarsi delle lesioni colpose ex art. 590 c.p. aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica; più nello specifico, l’accusa prima ed i giudicanti poi, avevano accertato che il reato fosse stato commesso sia dal datore di lavoro (in forza della sua qualifica ex D. Lgs. 81/2008), sia dall’Ente da egli rappresentato per aver agito “nell’interesse dell’ente (individuato dalla Corte d’Appello nel risparmio di spesa derivante dalla mancata rivalutazione e monitoraggio dell’adeguatezza del macchinario che ha provocato le lesioni alla persona offesa), in ragione dell’assenza di un modello organizzativo avente ad oggetto la sicurezza sul lavoro e, in particolare, di un organo di vigilanza che verificasse con sistematicità e organicità la rispondenza delle macchine operatrici, acquistate e messe in linea, alle normative comunitarie in tema di sicurezza, nonché l’adeguatezza dei sistemi di sicurezza installati sulle stesse”.

La presente sentenza, oltre a confermare la costante e crescente applicazione della disciplina della responsabilità degli enti ex D. Lgs. 231/2001 (soprattutto in caso di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro), riforma la ricostruzione in diritto effettuata dai Giudici di merito; in primo luogo, sancisce un importante principio secondo cui l’elemento della colpa di organizzazione ex artt. 6 e 7 D. lgs. 231/2001 sia rigorosamente provato e non riconosciuto “di default” all’ente a seguito dell’accertamento dell’illecito penale in capo alla persona fisica; specificatamente, devono essere individuati “precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno all’interesse dell’altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell’ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo“.

Pertanto, in tale prospettiva “l’assenza del modello, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione non sono ex se elementi costitutivi dell’illecito dell’ente. Tali sono, oltre alla compresenza della relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e l’ente (cd. immedesimazione organica “rafforzata”), la colpa di organizzazione, il reato presupposto ed il nesso causale che deve correre tra i due”. Di fatto, forte critica viene mossa dai Giudici di legittimità i quali, nel ribadire che gli aspetti riguardanti le dotazioni di sicurezza ed i controlli riguardanti il macchinario attengono a profili di responsabilità del datore di lavoro (ed agli amministratori della Società), evidenziano che tali profili “nulla hanno a che vedere con l’elemento colpa di organizzazione”.

Ne consegue che, nell’indagine riguardante la configurabilità dell’illecito imputabile all’ente, “le condotte colpose dei soggetti responsabili della fattispecie criminosa (presupposto dell’illecito amministrativo) rilevano se riscontrabile la mancanza o l’inadeguatezza delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati previsti dal d.lgs. n. 231/01. La ricorrenza di tali carenze organizzative, in quanto atte a determinare le condizioni di verificazione del reato presupposto, giustifica il rimprovero e l’imputazione dell’illecito all’ente, oltre a sorreggere la costruzione giuridica per cui l’ente risponde dell’illecito per fatto proprio (e non per fatto altrui)”.

Ciò rafforza quanto rappresentato in premessa, ovvero che l’esigenza che la menzionata colpa di organizzazione sia rigorosamente provata e non confusa o sovrapposta con la colpevolezza del (dipendente o amministratore dell’ente) responsabile del reato.

Ultima censura riguarda l’affermazione fatta dai Giudici di merito riguardante il ruolo dell’Organismo di Vigilanza che, erroneamente, attribuiscono allo stesso “compiti di vigilanza incardinati nel sistema di gestione della sicurezza (dei macchinari aziendali)” del tutto estranei ai compiti che l’art. 6 d.lgs. n. 231/2001 assegna a tale organismo, che sono quelli di sorvegliare e verificare la funzionalità e l’osservanza dei modelli organizzativi.

LINK: Guarda il pdf con il testo della sentenza