Con la sentenza n. 570 dello scorso 11 gennaio, la Suprema Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla colpa organizzativa affermando che essa deve essere rigorosamente provata e non confusa o sovrapposta con la colpevolezza della persona fisica che ha commesso l’illecito.
Il caso riguardava una società condannata alla sanzione pecuniaria di Euro 30.000 per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25 septies, comma 3, D. Lgs. 231/2001 in relazione al reato di omicidio colposo commesso dall’Amministratore Unico della Società a vantaggio dell’ente.
Secondo i Giudici, il vantaggio sarebbe consistito nel risparmio di spesa derivante dalla mancata messa disposizione di idonei mezzi di protezione individuale, nella omessa formazione specifica dei lavoratori in materia di montaggio e smontaggio dei ponteggi, nonché nell’assenza di un preposto effettivamente nominato e retribuito per presiedere i lavori.
Ebbene, nell’annullare la sentenza di condanna emessa nei confronti della Società, la Corte di Cassazione ha ribadito la necessità che sia dimostrata la “colpa organizzativa” dell’ente consistente nel non aver predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato.
Secondo i giudici di legittimità, l’assenza del Modello o la sua inidoneità o inefficace attuazione non sono di per sé elementi costituitivi dell’illecito. Viceversa occorre dimostrare la relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e l’ente, la colpa organizzativa, il reato presupposto e il nesso di causa che deve intercorrere tra gli ultimi due elementi.
Pertanto, la Suprema Corte ha censurato le motivazioni dei giudici i quali avrebbero condannato l’ente sulla base della mera sussistenza di un generico vantaggio, senza specificare in positivo in cosa sarebbe consistita la colpa organizzativa da cui sarebbe derivato il reato.
Inoltre, la sentenza impugnata sarebbe stata del tutto carente in ordine alla responsabilità dell’ente tanto da confondere e sovrapporre la responsabilità della persona fisica con quella della persona giuridica.
Secondo i giudici di legittimità, non può ammettersi, infatti, una dichiarazione di responsabilità fondata sull’addebito alla società del fatto di “non aver svolto alcuna adeguata valutazione sui fornitori, nonostante fosse prevista nel modello, e di non avere predisposto a norma il ponteggio nonostante la sua corretta edificazione fosse prevista nel PIMUS (Piano di Montaggio, Uso e Smontaggio dei ponteggi), documento che afferma essere stato sul punto assolutamente disatteso: profili colposi ascrivibili all’amministratore della società, quale datore di lavoro tenuto al rispetto delle norme prevenzionistiche, ma non per questo automaticamente addebitabili all’ente in quanto tale”.
Viceversa, la Corte territoriale avrebbe dovuto motivare in ordine alla “concreta configurabilità della colpa organizzativa dell’ente, della sua incidenza sul reato presupposto approfondendo il concreto assetto organizzativo adottato dall’impresa in tema di prevenzione di reati della specie di quello verificatosi in modo tale da evidenziare la sussistenza di eventuali deficit organizzativi di cautela propri di tale assetto, causalmente collegati al reato presupposto“.